La partenza di Maniglia è però foriera di altre tragedie: via lui vengono meno alcuni delicati equilibri che si erano consolidati nel corso degli ultimi due fondamentali anni. Il primo ad avvertire fastidio per la situazione che si è venuta a creare è Cavotta. Ha perso il partner ideale, l'amico di sempre. E' alla ricerca di qualche cosa di diverso e non ne fa mistero. Ci da una sorta di preavviso: trovatevi un altro bassista perché io fra un paio di mesi mollo!
È proprio un periodo di merda: la crisi del gruppo si riverbera, per molti di noi, nella vita di tutti i giorni. Vengono messe in discussione, all'improvviso, amicizie di anni. Ci si mal sopporta. Ci si rinfaccia l'uno con l'altro l'accaduto. Ci si da, reciprocamente ma anche a se stessi, del pirla per non aver compreso in tempo come tutto stesse per rovinarsi e compromettersi.
Cavotta sarà di parola: all'inizio dell'estate suona con noi a Rogoredo, poi scompare per dedicarsi a progetti musicali più ambiziosi. Al gruppo mancherà a lungo la sua tecnica, la sua capacità di interpretare lo spirito di un brano per renderlo ritmicamente più fluido. Mancherà a tutti la sua simpatia. Per me è una perdita notevole perché in questi anni mi sono molto affezionato al suo humor. Purtroppo non è la sola perdita: un'altra, ancor più grave, è alle porte. Il senso di vuoto che si è venuto a creare, all'interno del gruppo e nei rapporti di amicizia, spinge anche Costantino verso la porta di uscita. Non serviranno a nulla i tentativi di ricementare l'amicizia di un tempo. Siamo diventati tutti molto freddi, ci siamo come svuotati dopo anni passati fino a notte tarda in macchina, sulle panchine, fuori dalle birrerie a parlare, parlare, parlare. Ci siamo detti tutto, tutti…
Le defezioni si accompagnano ad un altro triste fenomeno, anch'esso responsabile della lunga fase di letargo nella quale stiamo per entrare. Nei locali milanesi sta prendendo piede una nuova moda, il Karaoke! Laddove c'era un palco, un impianto, musica dal vivo, ecco montato un apparecchietto con video: dalle tavolate numerose si alzano uno dopo l'altro improvvisati cantanti a scimmiottare i divi della hit parade nazionale. Per i locali è tutto un guadagno: niente ingaggi ai gruppi, aumento dello spazio liberato dall'ingombro del palco (subito sostituito da nuovi tavolini), minori costi di gestione delle attrezzature, ordine pubblico sotto controllo. Al contempo è la definitiva mazzata per la musica giovanile. Gli spazi si fanno sempre più limitati sino a scomparire. Anni dopo, anche quando la moda del Karaoke sarà passata, ne resterà comunque uno strascico dannoso: poiché la gente si è abituata a cantare, il ritorno della musica dal vivo nei locali coincide con l'esplosione del fenomeno delle cover-band. Gruppi di cloni invadono i (pochi) locali che propongono concerti: finti Vasco Rossi, finti Litfiba, Ligabue che si sforzano in tutti modi di assomigliare all'originale. Non c'è più spazio per le garage band che fino alla fine degli anni ottanta trovano a Milano e Provincia terreno fertile. Se hai idee tue e non appartieni al grande giro sei tagliato fuori.
In questo clima nessuna fretta attanaglia Gli Etiopi. Passa del tempo alla ricerca di un nuovo bassista, mentre si vanno formando nuove idee musicali. Senza eccessivi entusiasmi riappare Mario, oggi dedito allo strumento a quattro corde. Le prime prove sono cariche di tensione: alcuni vecchi dissapori riemergono e c'è un'aria più di sfida reciproca che di collaborazione. L'ombra di Cavotta aleggia di fianco all'amplificatore… Poi, col tempo, si trova finalmente un assetto accettabile, e la macchina riparte. Decidiamo così, dopo lungo tempo, di tornare in studio per registrare i nuovi brani composti nel frattempo. Si tratta di dare forma a quelle idee che sono venute maturando negli ultimi due anni: alcuni di questi pezzi, infatti, erano stati inizialmente composti e arrangiati con l'ausilio di Maniglia e Cavotta. Oggi sono stati rivisti e sono ancora in corso di trasformazione. Con la sessione di studio vogliamo semplicemente stendere dei bozzetti: la registrazione non ha altra funzione che di uso interno.
Ma la data del 28/4/94, quando registriamo in uno studio di Monza, è una data carica di significati: alla fine dell'incisione Kosta ci lascia definitivamente. Ora sì che ci sentiamo a pezzi. Nelle tre ore di sala abbiamo registrato nove pezzi nuovi: Ma cosa hai fatto Laura, I ragazzi del canneto, Il grasso che cola, Claudia l'argentina, Cat ‘n' tir, Domenica domenica, Piccoli gangster, Tragedia, Far west. Alcuni di questi diventeranno hits dei nuovi Etiopi, quando circa un anno dopo torneremo, con regolarità, a suonare dal vivo.
Ma
cosa hai fatto Laura segna la svolta del gruppo verso ritmi
più funky; successivamente verrà rielaborata e la versione
ufficiale prevederà una lunga intro che si presta perfettamente
come apertura di concerto. Il testo è una sorta di rimprovero
al primo amore, rivisto dopo lungo tempo e ormai oppresso dai nuovi
impegni famigliari: "Ma cosa hai fatto Laura / come ti trovo
giù / dai tempi del liceo / la stessa non sei più / sarà
forse per tua figlia / la tua voglia di famiglia / ci hai venduti al
primo pirla coi danè … Ma come hai fatto Laura / a rinunciare
a noi / al gusto straordinario / di infinocchiare i tuoi / ridevamo
come matti / avvinghiandoci nel letto / e tua madre ci credeva sugli
sci / Cosa mi dici Laura / non scopi più così"
Poi l'amara constatazione: "… da qualche anno in qua / ti sei
sacrificata / alla banalità / tutti i sabati la spesa / per il
resto sempre in casa / voi e la bimba lì davanti alla tivù".
Il manifesto programmatico è tutto nell'inciso: " Quanto
a me non son cambiato / mi fa schifo il matrimonio / sono allergico
a ogni sorta di tabù / Neanche all'alba dei trent'anni / io rinuncio
all'avventura / non vorrai che mi riduca come te".
I ragazzi
del canneto riprende il tema dello skazzo più totale.
Il titolo canzona il celeberrimo serial televisivo de I ragazzi del
muretto, edulcorata rappresentazione della gioventù primi
anni '90. La nostra gioventù, ormai bella che andata a puttane,
si prolunga nei parcheggi aziendali vuoti lungo i vialoni periferici
nelle ore del dopo cena, dove il solito pusher passa puntuale: "I
ragazzi del canneto nella nebbia di Milano/ alla luce dei lampioni non
si tengono per mano / sull'asfalto inumidito del parcheggio di un ufficio
/ si dissolvono nei fumi si confondono nel grigio / Hanno perso qualche
treno, hanno perso la parola / hanno perso ogni occasione sin dai tempi
della scuola / non san più cos'è una donna, s'interessano
di niente / si assopiscono intontiti nel silenzio circostante".
Si passa quindi all'introspezione: "I ragazzi del canneto, pur
restando differenti / hanno con la mia esperienza somiglianze sorprendenti
/ c'è la stessa impotenza, c'è la stessa apatia / manca
a tutti quel coraggio di mollare e andare via", mentre il ritornello
fotografa esattamente lo stato d'animo dell'epoca "Vita, che
scorri assai veloce tra le pieghe del tempo che ogni sera si ripete
[sempre uguale sempre quello] / Vita, ci vedi sempre fermi alla partenza
con gente che ogni sera si presenta [sempre uguale sempre quella] …vorremmo
abbandonare il passato ma è il passato che non ci abbandona mai".
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i ragazzi del canneto -
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Il grasso che
cola è un pezzaccio funky molto tirato, dedicato
alla fine degli anni'80, a tangentopoli e ai suoi protagonisti: "Hey
là Ciccio come va, ti sei messo a rigar dritto?/ Non ci inganni
più, lo sai, col sorriso da giornale / Se ne hai fatto di casino,
hai portato in tutto il mondo / quest'immagine vincente dell'Italia
che va a fondo / Ora a donne come va ? Le tue troie d'altobordo / han
cambiato già la sponda o ti aspettano nascoste? / Quanti anni
a divertirsi, noi qui, invece, in birreria / senza grana, senza figa,
con la stessa porcheria / E le feste con i sarti? E Milano vende moda?
/ Ed i posti di lavoro naufragati in whisky 'n' soda?"; ancora
più diretta la seconda strofa: " Guarda un po' che hai
combinato, tu pensavi di fregarci / ci facevi la morale ogni sera dal
tivù / Passeggiavi con il jumbo, riposavi in discoteca / e se
ci beccavi il fumo era una tragedia greca / Poi chi sa cosa facevi nei
tuoi party con gli amici / con le Marte, le Marine, le tue truppe di
sgualdrine / Se qualcuno poi chiedeva: "La famiglia come va?" /
"Qui mio figlio, là il cognato, i ladroni e Alì Babà"".
Il ritornello è categorico: " Dacci indietro i nostri
soldi / O per te saranno guai"! Passato il momento clou, chiusasi
la stagione di mani pulite, il pezzo andrà in soffitta.
Claudia
l'argentina diventerà invece uno dei pezzi più
gettonati del gruppo: per la prima volta ci confrontiamo con ritmi latino
americani, ormai i più ballati in questo scorcio di secolo; piano
ritmico, basso saltellante, ed oggi percussioni con trombetta synth
a lanciare il ritmo. La canzone narra le gesta di una ragazza venuta
a Milano a lavorare nel mondo della moda e finita a battere (con successo
sempre crescente ) il marciapiede: "… che mondo viscido la moda
/ ti promettono la luna poi ti sbatton sulla strada / ma Milano è
pronta a dare se si vuole lavorare / se sai far bene qualcosa ti ricambia
generosa / E dalla Pampa alla pompa è un cambio di vocale / quando
inizi te ne accorgi, è una fatica micidiale / appresi i fondamenti
però aumentano i clienti / e ne verranno ancora alla pensione
"Aurora"".
Cat ‘n' tir
è un classico rock ‘n roll che oggi ruota attorno agli a solo
di chitarra, piano e tastiere nella parte centrale del brano. Il testo
è il racconto di una notte milanese nel pieno agosto "Quest'oggi
se n'è andato / la notte sta arrivando / l'aria è ancora
calda / ed io sto soffocando / Milano anche nel buio / non si addormenta
mai / pallida è la luna / ma brillano i miei guai / è
troppo tempo ormai che mi sento così... / come un gatto schiacciato
dalla ruota di un TIR".
Domenica
domenica e Piccoli gangster sono due pezzi
che non verranno mai proposti dal vivo nonostante il fatto che siano,
almeno il primo, tra i più belli scritti da Gli Etiopi, per il
testo, per la musica, per l'amalgama di questi. Suoni aperti
(alla Pink Floyd), grande malinconia di fondo per l'amicizia incontaminata
di un tempo; è quasi una visione onirica "E' domenica
mattina, ho il cervello ancora cotto / nel mio letto c'è una
gatta raccattata in birreria / Le lenzuola sono calde, le sue cosce
sono dolci / mi ci faccio colazione prima di portarla al tram / Poi
di corsa giù a San Siro che c'è il derby di ritorno /
questa volta non c'è storia e finisce quattro a due / E l'Antonio
che è un onesto, nonostante milanista / offre un drink d'aperitivo
poco prima di salire / Siamo ospiti di Alessio, guarda un po' ci siamo
tutti / "apri il vino, dai che è pronto, sù sedetevi in
soggiorno""; è una sensazione di pace interiore "E'
domenica e così ho la strana sensazione / che d'incanto la mia
vita possa essere diversa / ma domani torneranno con la solita irruenza
/ la ragione, gli ideali e le cose di ogni giorno / però è
bello in queste ore coltivare l'illusione / che le solite menate mi
si levino di torno". Il ritornello è uno slogan, facile
me efficace: "Donne calcio e pasta al forno, nuove ipotesi di
vita / Donne calcio e pasta al forno con gli amici di contorno / Voglio
vivere così, calcio figa e pasta al forno / imboccare questa
strada, una via senza ritorno". Il secondo pezzo, Piccoli
gangster, è ancora una volta il ricordo della mia infanzia
milanese, qui in forma di ballad con una splendida chitarra alle spalle:
"Eravamo una banda di randa / sempre pronti a smerciare di tutto
/ a rubare nei supermercati / chi le cicche chi qualche lattina / Una
banda di allegri teppisti / c'ero anch'io, chi lo avrebbe mai detto,
/ non che fossi il più duro, lo ammetto, / ma lo giuro ero fatto
così".
Tragedia è il tributo obbligatorio alla canzone napoletana,
o meglio: alla sceneggiata. Nasce con l'ambizione di inserirsi tra Don
Gaetano e S.W.P. e quindi per prolungare il momento acustico
– di cabaret – nelle rappresentazioni dal vivo. Inizialmente l'avevo
scritta perché l'interpretasse Cavotta: e chi ha assistito alla
sua mimica durante le prove ricorda uno spettacolo meraviglioso. Oggi
tocca a me recitarla, con Ska ottima spalla comica. Tutto ruota
attorno al rimorso di un uomo che ha perso la moglie uscita di casa
per giocargli la schedina "Eri morta, defunta, spirata, giacevi
schiacciata sul manto stradale: nemmeno il bisogno di un tuo funerale,
non c'eri più! / La ruspa con un movimento ti trasse in inganno
e volasti col vento di sotto alle ruote dell'Autostradale Isernia-Cantù
/ Da sotto la ruota possente spuntava la mano, teneva con forza la borsa
di nylon con dentro la spesa che hai fatto per me / Qualcuno poi vide
quel dito, indicante la croce là sopra alla chiesa che dopo la
spesa tu andavi a pregar". Infine,
Far west: è il country fantasioso, ecologico, antiglobal
ante litteram, che se la prende a morte con le multinazionali,
il mondo della pubblicità e chi più ne ha più ne
metta. La storia si svolge nella Valle degli orti, presto invasa
dalle truppe fedeli de L'uomo del Monte, capitanate da quel gringo
di Mastrolindo: il nonno e i nipotini dell'idilliaca valle pubblicitaria
saranno fatti schiavi per la coltivazione di Ferrero Rocher sotto
le sferzate dei bravi dell'Uomo del Monte: "Li fa lavorar
giorno e notte / a volte li riempie di botte / curati dal capo dei gringo
/ l'atroce...Mastrolindo / Lavorar sotto il sole cocente / coltivar
le verdure per niente / perchè quando poi sono pronte / se le
incula l'Uomo del Monte".
Si
tratta ora di trovare un nuovo tastierista: agli inizi sembra una ricerca
quasi impossibile, poi … ne arriveranno addirittura due! Il primo è
Marco, il Balla: vecchia lenza del Parco Nord, è un tastierista
puro: conosce tutti i trucchi dei tasti bianchi e neri che accarezza
con le dita. Ha una strumentazione meravigliosa, un Hammond con Leslie
che fa girare la testa nelle esibizioni live.. Entra subito nello
spirito etiope: nel giro di un'ora suona con noi come se fosse tra i
Padri Fondatori! Anche nel primo concerto, alla Sala Fontana
di Milano, dimostra la sua energia. Sul palco, mentre suona, è
un piacere vederlo: a parte il sorriso che mette allegria, sembra un
ballerino dietro le tastiere. Da queste parti si dice che sente la
musica. Al suo fianco, entro breve, arriva Claudio.
BALLA
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CLAUDIO
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Se il Balla diventa etiope in un'ora, Claudio sembra esserlo sempre stato: è fuori di testa come noi, anzi… più di noi. |
Claudio sul palco sarà una rivelazione, conquistando entro breve la front line per non mollarla più: improvvisazione, teatralità, demenza allo stato puro che si sposa con la serietà di un diploma di pianista ottenuto al Conservatorio di Milano. L'arrivo di Claudio porta con se anche una nuova sala prove, cioè la sua mansarda: diventerà la Casa de Gli Etiopi, lo spazio dove si crea, si arrangia, si prova, si registrano bozzetti vari, si festeggia (durante la festa della tesi di Ska, svoltasi in mansarda, potremo permetterci una performance di ore e ore ininterrotta – all night along - durante la quale nasceranno nuove idee successivamente riprese, sviluppate, fino a diventare nuovi pezzi del gruppo). Lo spazio e il tempo a disposizione ci consentono di riprendere vecchie idee, di rielaborarle, grazie anche alla cultura musicale di Claudio che riesce a disciplinare l'estro di tutti. Rinasce un nuovo entusiasmo.
L'estate ci rivede in tournée: suoniamo a Lodi, a Cassago Brianza (dove dopo una ciucca pazzesca a base di grappa, eseguiremo un finale da brivido di bambini bastardi della durata di circa un quarto d'ora, mentre Gianluca, per evidente scambio di persona, perso nei fumi dell'alcol, tenta di sodomizzare un sorpresissimo fonico), ad Arcore (open e indoor, presso l'ARCI, dove torneremo più volte negli anni a venire), a Monza.
Quindi si torna in studio il 4/5/96: si tratta in buona sostanza del rifacimento della cassetta del '94, con Claudio e Balla al posto del Kosta, e soprattutto con nuovi arrangiamenti, anche di pezzi più vecchi: Ma cosa hai fatto Laura, A' discuteca, Sonia, Cat ‘n' tir, Claudia l'argentina, Far west.
Di lì a poco Mario introduce nel gruppo la sua compagna, Sarah. È una ragazza molto affascinante, dotata di un sex appeal notevolissimo e, soprattutto, di una voce blues molto calda. L'abbiamo sentita a Lodi, quando è salita sul palco nell'intervallo e accompagnata da Ska e Mario ha proposto alcuni evergreen. Ha alle spalle l'esperienza con i William's Boot, il gruppo che ha ripreso le orme dei Totem. Si fermerà con noi per una stagione circa. È oggettivamente difficile trovarle un ruolo all'interno del gruppo. Iniziamo riarrangiando il testo di Poster, nel quale Sarah ottiene alcune strofe da solista. Cantiamo il pezzo mentre lei, con fare suadente, mima il testo. L'idea poi sarebbe quella di scrivere qualcosa di nuovo che sfrutti il dialogo uomo / donna. Penso ad intrecci vocali che si avvicinino allo stile dei B'52: in questa direzione scrivo di getto un pezzo, Motel, carico di allusioni, il cui ritmo deve essere incalzante: "Hey baby, che stà succedendo? / Mi sento eccitato e confuso / Rilassati, lasciati andare / Ti agiti prima dell'uso? / Cosa mi fai? / E' solo un assaggio / Dove mi vuoi? / Nell'idromassaggio / Che vibrazioni / L'acqua è bollente / Tieniti forte / E' sconvolgente !!! … Mo mo mo momomoomomo motel / yeah / al motel, yeah / al motel, yeah / por - ta - mial MOTEL !!!". Mario sembra non gradire e le prove si svolgono in un clima di tensione. C'è un certo imbarazzo nell'aria: discussioni continue, piccole insofferenze. Dopo un live in cui anche Sarah salirà sul palco (all'ARCI di Arcore), la situazione si fa sempre più compromessa e i dissapori di un tempo, quelli che avevano portato all'interruzione del rapporto con Mario, si ripresentano.
Si arriverà così ad un chiarimento duro e spietato, una fresca serata milanese nel nostro bar di riferimento, l'Hemingway di via Vallazze. Nel giro di due ore, tra urla, insulti, inviti del tipo perché non vieni fuori? la storia di Mario e Sarah con Gli Etiopi si concluderà definitivamente. Siamo di nuovo senza bassista, sembra la nostra maledizione…
una scelta coraggiosa
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